La crisi della Chiesa tardomedioevale

Il Concilio di Costanza e la tarda scolastica

Pubblicato su Tempi, marzo 1998, col titolo “Fermenti disgregativi nella Chiesa tardomedioevale: Il Concilio di Costanza e la tarda Scolastica”

Il concilio di Costanza

La vicenda dello scisma d'Occidente, di cui abbiamo parlato la volta scorsa, non si concluderà che nel 1414, col Concilio di Costanza. In tale occasione i tre[1] che pretendevano di essere successori di Pietro rinunciarono in favore di un Papa eletto dal Concilio stesso, Martino V.

In occasione di tale evento, che pur fu complessivamente positivo e utile alla Chiesa, in quanto consentì la composizione dello scisma, non mancarono aspetti negativi. Ad esempio quella di Costanza fu la prima grande assise della Chiesa i cui convenuti si dividono per nazione (italiana, francese, tedesca, inglese e spagnola): segno questo del clima culturale che andava mutando, mettendo sempre più in ombra i poteri detti universalistici (l'Impero e il Papato) in nome appunto delle nuove realtà emergenti, gli stati nazionali, in cui l'unitaria Cristianità medioevale andava frantumandosi. L'epoca moderna avrebbe ben conosciuto quanto questa frantumazione dell'universalismo medioevale fosse apportatrice di sanguinose e devastanti guerre, al cui confronti quelle medioevale appaiono dilettantistiche scaramucce. Ma c'è di più: dividendosi per nazioni i vescovi dimostravano di non cogliere più fino in fondo il carattere soprannaturale della Chiesa, o quanto meno di sovrapporre alla percezione del suo carattere soprannaturale, la più pressante e vivida percezione della sua dimensione naturale, puramente umana. Una Chiesa insomma talmente percepita come fatta da uomini, da mettere in secondo piano la sua dimensione di cattolicità, che poggia sul suo carettere divino (solo se la Chiesa è divina diventa secondario l'essere francesi o italiani, mentre essenziale è appartenere al Mistero di Cristo).

Il rischio di una certa flessione riduzionistica si manifestò del resto anche colla diffusione di idee conciliaristiche, che sostenevano la superiorità del Concilio sul Papa. Il Concilio stesso fece proprie tali idee, senza peraltro mai fissarle in alcun pronunciamento di valore dogmatico. Non solo, ma il Papa eletto dal Concilio stesso, Martino V, mentre sottoscrisse tutti gli altri decreti del Concilio, rifiutò di sottoscrivere il decreto che sanciva il conciliarismo. Tutto questo avrebbe reso possibile, lo notiamo di sfuggita, la formulazione del dogma dell'infallibilità pontificia, da parte di Pio IX, nel secolo scorso.

i fautori di una Chiesa (falsamente) “povera”

Ma idee erano state ben più virulente ed eversive erano state sostenute da altri personaggi, peraltro non dichiaratamente eretici. Pensiamo a Marsilio da Padova e Guglielmo di Occam. L'uno e l'altro hanno in comune un progetto destinato ad assegnare al potere statale un controllo se non totale, almeno decisamente dominante, sulla vita umana. A tale esito, possiamo notare, portavano anche i due grandi eretici del Tardo Medioevo, John Wycliff e Jan Hus (condannato proprio dal Concilio di Costanza e conseguentemente arso sul rogo), per i quale la Chiesa è qualcosa di puramente spirituale, essenzialmente invisibile (non esprimentesi in una mediazione sacramentale-sacerdotale): una Chiesa così volatilizzata non potrà più impensierire i sovrani, non potrà più esercitare alcuna funzione critica. Priva di un corpo, non potrà più infatti né parlare né agire.

Senza spingersi a conseguenze così estreme (non sappiamo se per convinzione o per calcolo), ovvero non negando una qualche visibilità strutturata della Chiesa, Marsilio da Padova, come è noto, sostenne una ecclesiologia democraticistica. Per lui infatti la Chiesa è una democrazia né più né meno di quanto non lo sia lo stato: nell'un caso come nell'altro è al popolo che spetta la sovranità. Il popolo dei credenti, la "universitas fidelium" è la fonte dell'autorità nella Chiesa. Ne segue che lo stesso concilio in tanto ha un potere in quanto gli è conferito da tale "universitas fidelium", e a maggior ragione in Papa non può rivendicare altro potere che quello delegatogli dal concilio, che lo elegge e ne può sindacare gli atti. Marsilio da Padova, dunque, fu il primo grande fautore del conciliarismo (che anche nel nostro secolo ha conosciuto nuovi sussulti). Tale teoria misconosce di fatto il carattere soprannaturale della Chiesa, che viene ridotta a organismo collettivo puramente umano: solo se si riconosce che la comunità ecclesiale è raccolta e fatta esistere da una forza superiore, cioè dallo Spirito Santo, si può pensare al concetto cattolico-ortodosso di "autorità", come a qualcosa che è non frutto di una delega "dal basso", ma appunto di una "assistenza" dall'alto, che corrobora la debolezza umana, rendendola capace di confermare i fratelli, legando e sciogliendo col potere di Cristo.

Guglielmo di Occam, a sua volta, maldestro discepolo del Poverello di Assisi, è fautore di quella che potremmo chiamare una duplice povertà del Cristianesimo: sul piano culturale povera deve essere la fede, in quanto non permeante la ragione, sul piano pratico povera deve essere la Chiesa, rinunciando ad ogni potere e ad ogni ricchezza. Cominciamo dalla povertà della fede: povera lo è, dicevamo, in quanto rinuncia ad integrarsi con la ragione. La ragione infatti per Occam non può dire nulla "in aiuto" alla fede: mentre per S.Agostino, S.Bonaventura e S.Tommaso si dava armonia e integrazione tra fede e ragione, per cui quella era non dimostrata razionalmente, ma sommamente ragionevole, Occam limita fortemente la capacità della ragione di argomentare intorno al problema del significato della realtà. Nemico tendenziale della metafisica, Occam ritiene che Dio sia totalmente al di là di qualsiasi ragionamento, al punto che per Lui potrebbero valere leggi logiche diverse e contraddittorie con la logica che noi conosciamo.

E come la fede non si integra più con la ragione, del tutto analogamente secondo Occam la Chiesa non doveva più in alcun modo integrarsi con il mondo, sporcarsi le mani con la concretezza dei problemi, che esigono anche progetti e risorse. Quello che Occam pare abbia auspicato non è una personale povertà degli ecclesiastici (il che poteva anche essere un obbiettivo di per sé plausibile), ma è una rinuncia della Chiesa in quanto tale ad essere presente carnalmente nelle vicende umane, pur di preservarne una presunta purezza spirituale.

Non stupisce perciò che l'Imperatore, Ludovico il Bavaro, apprezzasse tali idee di Occam, e ne proteggesse con zelo la causa, quando venne accusato di eresia davanti a papa Giovanni XXII e dovette fuggire da Avignone: non stupisce perché le sue idee, come quelle di Marsilio, prefiguravano una Chiesa debole, facilmente in balia di uno stato sempre più forte e accentrato. Come poi sarebbe avvenuto, con la Riforma protestante.

note


[1] Ossia Giovanni XXIII (antipapa "pisano"), Benedetto XIII (antipapa avignonese) e Gregorio XII (Papa). Quest'ultimo accettò di rinunciare al triregno alla condizione, accettata dal Concilio di Costanza, che quest'ultimo si sciogliesse per venire immediatamente riconvocato da lui, a cui si riconosceva perciò di essere l'unico autentico successore di Pietro.